Da circa quindici anni insegno Lettere nelle scuole superiori. Quando mi è possibile, mi piace tradurre dalle lingue antiche e, dopo inattesi (nonché rari) momenti di ispirazione, scrivere.
Quando, a otto anni, ho terminato le ultime pagine del primo libro che abbia mai letto, I ragazzi della via Pál, mi sono commosso e ho cominciato poco a poco a comprendere che la lettura, nonostante a volte sia attività impegnativa e richieda concentrazione e tempo, giova, perché è scoperta e risonanza. Nel primo caso, permette di conoscere e comprendere idee e sentimenti mai esplorati prima; nel secondo, che considero il beneficio maggiore recato a chi legge, chiarisce quanto si è sempre sentito dentro o sperato di trovare fuori ma non si è mai pienamente ammesso, compreso o dimostrato, per distrazione, pudore, incapacità oppure per mancanza di tempo e parole. La lettura, a mio avviso, è perciò anche ricreativa, nel senso letterale del termine: più che in un passatempo, consiste nell’opportunità di ricostituire in forme più sensate e rivelatrici quanto avevamo smesso di notare, lasciato impolverato o fatiscente, dato per perso o impossibile: getta ponti, instilla dubbi fecondi, rinnova e motiva certezze, restituisce dignità, genera la gratitudine di esserci e pensare.